Il colle Berrio, m. 3006

Da tanto tempo desideravo salire al colle Berrio, nel magico ambiente della punta Fiorio, all’ultima estremità della catena del Morion.
"Berrio" significa "sasso", "masso", sulla strada per il rifugio Crete Seche si trovano "lo berrio de la bosse" (sorgente d'acqua freschissima) e "lo berrio di governo", dove al tempo della rivoluzione francese era stato situato un posto di guardia.
In cima al monte Berrio ero stato tanti anni fa con Gigi, salendo però da Ollomont, per cui questo ambiente lo avevo appena sfiorato.
Il colle Berrio tra la svelta piramide della punta Fiorio e il monte Berrio Al colle Berrio si sale dal bivacco Regondi oppure, più facilmente, dalla comba di Breuson ed è su questa seconda via che avevo messo gli occhi, cercando di indovinarla quando mi trovavo su montagne dirimpetto e cercando un compagno, perché non mi sentivo di affrontarla da solo.
Questo compagno poteva essere solo Anna, perché Alberto e Giovanni avevano già fatto la traversata dal Regondi al Breuson e d’altronde vanno troppo forte per me per costringerli al mio passo.
Anna però non aveva mai mostrato troppo entusiasmo per l’impresa percui, psicologicamente preparato dalla mia salita solitaria al col du Filon, decido di andare da solo.
Sveglia alle sei, mi alzo però solo alle sette ed alle otto e dieci lascio l’auto parcheggiata poco prima dell’albergo Otemma ad Oyace per incamminarmi su quello che resta di un vecchio sentiero segnato che mi porta in circa mezz’ora ad incrociare il sentiero dell’alta via che proviene appunto dall’albergo Otemma.
Il sentiero è molto bello e offre notevoli spunti panoramici, alle spalle su Dent d’Herens e Grandes Murailles, davanti sulla Grivola, la Granta Parei e le altre montagne della val di Rhemes.
Un cancello di legno segna l’entrata all’alpe Sucheaz, i cui ruderi vedo sopra di me (e questo ricordo mi permetterà al ritorno di ritrovare il sentiero che avrò perduto), che presto raggiungo per continuare sul bel sentiero che, spesso pianeggiando, mi porta all’alpe Breuson.
Nei pressi di quest’alpe sento dello scampanare, probabilmente una mandria al Plan Mulet.
Secondo le indicazioni del Buscaini dovrei ora salire verso l’alpe e senza toccarla deviare a Nord sui pendii che portano al colle.
Un errore che mi costerà tempo ed ansia anche perché si vede dal basso la via più logica in un pendio ripido di verde e sassi, dove la salità più comoda è senz’altro sui pur ripidi prati.
Infatti mi trovo subito sui sassi (alla mia destra vedo mucche pascolare al Plan Mulet) e per evitarli mi porto verso la costa verde dell’arete de Clocherot dove mi pare di scorgere tracce di passaggio.
E infatti le trovo, le seguo per poco poi le abbandono per riattraversare i sassi e raggiungere un pendio verde che mi porti a superare il primo salto.
La baita diroccata di Plan Mulet A questo punto sono veramente stufo e ho voglia di rinunciare.
Ora però ho superato il primo salto, trovo un ripiano con una piccola costruzione, un muro di sassi, da cui parte un canalone in parte erboso e in parte sassoso, che seguo prima sulla sua cresta per poi entrarvi immaginandovi tracce di passaggio che mi portano finalmente all’ultimo ripiano da cui posso scorgere il colle, preceduto da un erto pendio sassoso e soprattutto da una grande spianata di massi.
Penso ancora che non arriverò mai al colle, comunque mi inoltro tra i massi, cercando un cammino semplice per superarli, che non trovo.
Sono da poco passate le dodici e mezza, ho tempo, decido di andare avanti, almeno sin sotto il colle.
Intanto mi guardo intorno e mi trovo proprio nell’ambiente che desideravo raggiungere.
A destra del colle la tete Bonin e la tete Quaini, poi la misteriosa piramide della punta Fiorio, bella come una cattedrale, nella quale riconosco il disegno del Buscaini con tracciato la via normale, più a destra ancora il colle di Clocherots.
Questo ambiente ricompensa la fatica di essere arrivato sin qui.
Rinfrancato continuo la strada tra i massi, penso che è come essere in un ghiacciaio pieno di piccoli crepacci, dove bisogna saltare da un crepaccio all’altro, l’importante è guardare bene dove si mettono i piedi.
Cerco anche punti di riferimento per il ritorno.
Un masso su un praticello verde è dove inizia il canale che mi ha portato quassù, altri grossi massi segnano la strada.
A volte si incontrano piccole conche che bisogna costeggiare, uscire dai massi non mi sembra conveniente poi alla fine il terreno è abbastanza sicuro, i sassi dove poggio il piede sono tutti fissi, non corro mai pericolo di scivolare o farmi male, i miei scarponcini della Scarpa svolgono egregiamente il loro lavoro.
Finalmente i massi terminano, devo scendere alcuni metri, trovo i resti di un ometto, che ricostruisco e che mi sarà utile al ritorno.
Il pendio che mi separa dal colle non è più così ripido come mi era sembrato, per cui decido di abbandonare il sacco su di un masso ed incomincio a risalirlo.
Il pendio che porta all'alta comba di Breuson Penso che il dislivello da superare sia di un centinaio di metri, per cui non sarà una grande fatica, in realtà sono 170 metri.
Mi dirigo verso la depressione più bassa della cresta, 26 metri più bassa di quella dove sbuca la via che proviene dal Regondi.
Tutto sta a trovare il cammino meno faticoso, perché spesso siamo su terreno del tipo "un passo avanti e due indietro”, ma a differenza del col du Filon esistono tratti di verde e roccette che utilizzo per la salita, che come allora sembra sempre alla fine, ma non finisce mai, anche se stavolta impiego solo mezzora per superare questi 170 metri.
Alle quattordici e dieci, sei ore dopo aver lasciato l’auto, sono sul colle.
Sono emozionato, vedo sotto di me un lago, il lago dell’Incliousa, ma non scorgo il bivacco Regondi.
Scorgo anche il sentiero per il bivacco e vedo transitare due figurine.
Un camoscio sulla cresta del Berrio (come avrà fatto ad arrivare lassù?) aggiunge emozione all’emozione.
Vorrei raggiungere la via che proviene dal Regondi, ma sono troppo stanco e penso troppo alla faticosa discesa che mi attende per superare il grosso gendarme che mi divide da essa.
La discesa sino al sacco è veloce, sfrutto la ghiaietta che mi porta rapidamente in basso.
L’ometto lasciato mi indica il punto dove risalire sulla distesa di massi che supero tenendo d’occhio i punti di riferimento individuati all’andata.
Quando raggiungo il praticello verde dove inizia il canale che mi porta verso il basso comincio il primo dei frequenti riposi.
Sono stanco e l’appetito non è molto, mangio del cioccolato e bevo del Gatorade.
Seguendo tracce di passaggio arrivo al ripiano inferiore da dove mi appare tutta la via per raggiungere le malghe di Breuson.
Scendo dapprima per prati poi per sassi poi ancora per prati sino al rado bosco il cui sottobosco è più insidioso dei sassi, poi trovo un sentiero che subito perdo, ma oramai sono nei pressi dell’alpe.
Scorgo anche due persone, una coppia giovane, che passa per l’alpe proveniendo dal col Breuson.
Non mi vedono o mi ignorano.
Trovo la sorgente nei pressi dell’alpe, riempio poco la borraccia, per non fare indigestione di acqua e all’acqua aggiungo una bustina di Polase, il che non servirà a niente.
Ora sono sul sentiero che mi porta in basso, solo che all’alpe Sucheaz lo perdo e ho un momento di panico perché scendere ad Oyace per boschi molto ripidi senza sentiero non è certo il massimo, per fortuna ricordandomi di quando sono passato al mattino, individuo più in basso il cancelletto di legno e ritrovo il sentiero.
Scendo con soste continue, sono molto stanco.
Alle diciotto e quindici raggiungo l’auto, dieci ore dopo averla lasciata .
Venti minuti dopo, stravolto, sono a casa.


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