Gli Sloveni della Carinzia e del Friuli Venezia Giulia.
Popolazioni slave si insediarono nell'odierna Carinzia ai tempi di Carlo
Magno.
Più tardi la stessa zona venne colonizzata da popolazioni provenienti dalla
Baviera e le due culture convissero insieme per secoli anche se l'elemento
tedesco prese a poco a poco il sopravvento.
Per secoli senza ostilità, tanto è vero che dopo la prima guerra mondiale, gli
sloveni della Carinzia decisero di rimanere sotto l'Austria.
Dove godettero di una certa autonomia, del bilinguismo nella scuola, nella
chiesa, nelle istituzioni.
Fino al momento in cui l'Austria divenne un Land tedesco.
L'assimilazione tedesca fu però così forte che una parte degli sloveni prese a
parlare una lingua influenzata dal tedesco e chiamarono se stessi Vindi
(Windisch o Wendisch in tedesco).
Rimasero una minoranza rispetto agli sloveni.
L'Austria democratica riconobbe agli Sloveni i diritti di una minoranza, anche
se ci furono episodi di intolleranza da parte di estremisti tedeschi, come la
battaglia contro le indicazioni stradali in sloveno.
Oggi vivono in Carinzia poco più di 10000 sloveni e circa 600 Vindi.
Il villaggio Carinziano di Zell è l'unico dove gli sloveni rappresentano la
maggioranza della popolazione, più di 600 sui 700 abitanti.
Nei più popolosi Globasnitz e Eisenkapell-Velach gli sloveni rappresentano circa
il 40% della popolazione.
Gli Sloveni sulle nostre Alpi sono circa 60000 e vivono nelle province di
Udine, Gorizia e Trieste.
Sono arrivati nel VI° secolo dalla Polonia, dalla Slovacchia e dalla Pannonia
quando il Friuli era un ducato longobardo e delle loro lotte contro i Longobardi
parla Paolo diacono.
A differenza di quanto avviene in Carinzia sono una quindicina i comuni delle
tre province dove la maggioranza della popolazione parla un dialetto sloveno.
Solo a Gorizia la minoranza locale parla lo sloveno letterario.
In Valcanale su 7000 abitanti circa 2000 sono Vindi, la loro lingua risente qui
dell'influsso tedesco e friulano.
In Val Resia circa mille persone parlano quattro dialetti simili e abbastanza
diversi da quelli sloveni parlati nel resto del Friuli.
Probabilmente l'isolamento di questa vallata dei monti ha serbato la lingua
dalle impurità che si sono inserite negli altri dialetti o forse in Val Resia
gli abitanti
derivano da un ceppo originario diversi da quelli che hanno popolato il Friuli.
Durante la guerra, quando ci fu l'occupazione dei Cosacchi pare che i Resiani
non avessero difficoltà ad intendersi con gli occupanti che parlavano il Russo.
Durante il fascismo la lingua slovena fu vietata, nel 1927 i nomi sloveni furono
italianizzati.
Solo con il ritorno della democrazia si tornò alla tutela delle minoranze e alla
riapertura di scuole e centri culturali sloveni.
Tra essi la "Narodni Dom", casa della cultura slovena a Trieste, nell'edificio
che durante la guerra (Hotel Balkan) fu luogo di tortura.
Il più importante scrittore italiano di lingua slovena è Boris Pahor, che
descrisse nel suo libro "Necropoli", le sue vicissitudini di
prigioniero in un campo di sterminio.